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giovedì 17 marzo 2016

Nei luoghi dell'attesa

Siamo una specie complessa noi esseri umani e per una sorta di trasposizione dal particolare al generale, ci è piaciuto complicare anche la realtà in cui viviamo.
Per esempio abbiamo creato luoghi per ogni situazione/evenienza.
La casa, estensione del nostro essere, cuccia di pace, più spesso campo di aspre battaglie, purtroppo non si può condurre a spasso come il guscio della lumaca e così ci siamo ingegnati.

Ci sono luoghi per il divertimento, c'è un luogo per lavorare, un luogo dove fare sport, un luogo per gli acquisti. C'è il luogo dove si studia, il luogo dove si guarisce, luoghi di passaggio e un luogo dove si risiede in eterno.
Ma i più avvolti da fascino misterioso sono forse i luoghi dell'attesa.
Le sala d'attesa per antonomasia, anticamere di sosta di un qualcosa che verrà. Alcune preludono ad un lieto evento: il desiderio di un viaggio, nella sala di una stazione, una nuova vita, dove trascorre il travaglio la partoriente.
Altri promettono poco di buono come la sala d'attesa del dentista, altri ancora non promettono proprio più nulla, perché il futuro è più semplice che remoto e si programma di settimana in settimana.

Sono le case di riposo per anziani.
Immerse nel verde, vaste strutture dai lunghi corridoi occupati da un'infinita fila di sedie.
Qui si attende, evitando accuratamente il complemento oggetto.
In questi luoghi dell'attesa il colore delle pareti è scelto dalla cartella pantone del test delle urine e l'odore dell'aria ti si inculca nelle narici, soprattutto se le narici son ancora giovani e in salute.
In questi luoghi si passa il tempo e il tempo passa, rigorosamente lentamente.
In uno di questi luoghi soggiorna mio nonno e con lui tanti altri nonni e nonne, ognuno facendo i conti con la propria anzianità.

In questo luogo, l'attesa si può ingannare giocando a carte, facendo una passeggiata, a volte facendo festa, riposando, ricevendo visite e annoiandosi guardando le (indecenti nda) trasmissioni pomeridiane in TV ad un volume assordante, tanto è difficile che qualche udito possa offendersi.
A volte il tempo si inganna guardandosi in cagnesco tra degenti, quello col carrellino, guarda torvo l'altro con la cannula, l'antipatia non ha limiti di età, né di infermità e piccoli gruppetti si contrappongono tra loro in una sorta di aged-bullismo.

Mio nonno a vederlo, spicca per l'eleganza del portamento, con la sua giacca di velluto e la penna nel taschino, anche se appoggiato ad un bastone, sembra una roccia, di fiume, ché gli angoli glieli ha levigati il fluire dei giorni.
Quest'anno, tralasciando i bisestili, festeggerà 34675 giorni fluiti.
Una ragguardevole cifra, ma da cui traspare, purtroppo (o per fortuna), tutta la nostra finitezza. Il numero di giorni di cui disponiamo, quando la Vita è generosa, è poco di più del numero di puntate di Sentieri e Beautiful insieme, che pure la prima soap sembrava infinita, ma prima o dopo...e così succederà anche a Beautiful, e pure ad ogni telenovela privata.
Che a raccontarle le vite di tutti sono delle soap.

A mio nonno, piace raccontare. E' sempre stato così.
Quando vai a trovare mio nonno devi avere molta più voglia di ascoltare, che di parlare.
A volte va bene così.
Lui racconta, racconta e usa termini bislacchi, come la parola bislacco. Ma con una sola "c", perché viene da tempi e luoghi dove non era bene eccedere negli sprechi.
Usa anche "putacaso" ed io per questo lo invidio molto.
Mio nonno racconta spesso della Guerra.
Chi l'ha fatta non dimentica e chi non l'ha fatta ha bisogno di ricordare.
Così tra un putacaso e un "bislaco" ci racconta le vicende di chi senza rancori da vendicare, né profitti da accaparrare, viene sradicato dalla propria vita per essere catapultato in mezzo ad una guerra, senza capirci nulla, cercando di uscirne vivo.

Io non so se sia tutto vero ciò che racconta, credo sia vero come qualsiasi racconto personale che passa, ovviamente, attraverso il filtro del narratore.
Questo mi basta però per apprezzare la Storia. Non quella dei libri, quella di chi "piccolo uomo" si è trovato ad affrontare qualcosa di enormemente insondabile come la banalità del male.
I commenti dell'uditorio, un figlio già nonno e due "putini" oltre gli anta (!), si perdono tra l'incredibilità delle vicende e la crudele assurdità dei Conflitti.
"...nonno, non abbiamo ancora imparato nulla come genere umano."
"eeeeh putino...semo boni a fare de tuto, con la tecnologia, semo boni a fare le scarpe alle mosche, eppure la gue(r)ra non sappiamo ancora evitarla."

L'idea delle mosche con le scarpe ci lascia tutti pensierosi.
In effetti io riesco proprio ad immaginarmele queste mosche con una scarpina per gamba, magari non troppo esultanti, ma me le vedo.
Eppure questo vecchio mondo senza guerra, purtroppo no, non me lo riesco proprio ad immaginare. E' un mio limite sicuramente, io continuo a crederci: dopo il miracolo delle calzature per esapodi, ne sono certa, arriverà il miracolo della pace.


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